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What about???

Voleva essere un blog sul mondo che non va, su me, il mio rapporto con il mondo, e i miei tentativi di trovare soluzioni. Sulle persone che incontro lungo il cammino, sulle loro storie, non solo la mia. Foto. Disegni. Musica. Sul mio essere strummolo. Quindi sarebbe stato un’accozzaglia (groviglio!) di roba indefinita, ma che in qualche modo seguiva e conservava un’unica direzione.
Alla fine inevitabilmente sarà strettamente  interconnesso con il mio viaggio, il mio presente. Meno opinioni, più situazioni. E col viaggio di Gigi, che è un tutt’uno col mio. Sono due viaggi, e due vite, ormai inscindibili.
Spero di riuscire ad aggiornarlo spesso. Sono molto impegnata qui a Mardin, con Her Yerde Sanat e tutto il resto, tant’è che da quando sono arrivata, Mercoledì, solo ieri sono riuscita a scrivere e solo ora sto riuscendo a raccapezzarmi tra blog, computer e tastiera turca!!!
Ma mi imegnerò. Perché voglio che le due storie, quella mia e quella di Gigi, a un certo punto si incontrino, come si rincontreranno le nostre vite.

Ora sono a Sirkane, la ”casa del circo”, dopo una lunga e bella giornata in cui abbiamo fatto con tutti i bambini training e prove generali per uno show che si terrà Mercoledì prossimo in una città divisa in due, tra Siria e Turchia, per presentare la scuola e le attività dell’asscociazione anche lì. Continuo a impazzire con la tastiera turca, ma piano piano trovo escamotages per inserire i vari accenti qui inesistenti!!! E rimangono la gioia e l’energia per tutto quello che verrà. 🙂

Tra poco un pò di allenamento al trapezio, che a fine giornata non guasta mai, cena, relax e a nanna, pronti per affrontare anche domani a testa alta!

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Di Green Peace e del mondo che non va. Quattro anni dopo.

Tempo fa scrissi queste considerazioni, questo sfogo, questo treno di parole buttate giù di getto. Partivo dagli avvenimenti degli arctic 30, arrestati dalle autorità russe, in cui era coinvolto anche un mio amico, per arrivare alla mia condizione di disagio in questo mondo che non lascia molto spazio ai sogni e alle lotte.

Ora, dopo quattro anni, posso dire che piano piano, insistentemente e senza sosta, sto trovando la chiave. O almeno credo. Ma mi sto giocando il tutto per tutto. Ho fatto per tre anni la cameriera, ho messo da parte soldi ma ho capito che quello mi toglieva vita, non mi dava possibilità. Inquei tre ani non ho comunque mai smesso di pensare a come potevo fare, e di crescere in quello che mi faceva sognare e mi faceva restare viva: l’arte del trapezio e dell’acrobatica aerea, l’arte dei trampoli, l’arte dell’arrampicata, dell’alpinismo e della speleologia. Non faccio più la cameriera e non faccio nemmeno la geologa. La geologia è meravigliosa. Mi tornerà utile in montagna.

Vivo (sopravvivo, ma felice per il momento) di trampoli, di circo, di arte, di musica, d’amore, d’arrampicata… E queste stesse cose le uso per (provare a) creare un mondo migliore. Se non proprio il mondo intero, per lo meno le uso per migliorare un pò la vita di qualche bambino che tante possibilità non ne ha, e così, forse, ne avrà qualcuna in più.

Sono stata tre mesi in Turchia al confine con la Siria, tra Mardin e Nusaybin, a lavorare in cambio di viaggio vitto e alloggio per un’associazione che si occupa di circo sociale, e ho constatato con mano che il potere del circo è qualcosa di inverosimilmente grande. Il circo è amore, risate, sfide, trionfi, condivisione. Un posto dove puoi esplorare il tuo potenziale ed espanderlo, sfidando e superando i tuoi limiti con leggerezza, giocando. Dimenticandoti addirittura della guerra e dell’odio in cui sei cresciuto. Un posto dove ognuno è il benvenuto ed è valorizzato per quello che è. Il circo funziona. E’ un’ottimo modo per costruire un mondo migliore. Seppur a piccolissimi passi. Ce ne sono esempi in tutto il mondo.
Ci tornerò per altri tre mesi in Turchia. E andrò anche in Iraq. Accompagnata ancora da chi ha avuto la forza di raggiungermi lì e di restarci, e di innamorarsi di quegli stessi bambini e di quelle stesse persone di cui mi sono innamorata io. Nel frattempo continueremo a vivere (a sopravvivere, felici) d’arte. La stessa arte che ci ha fatti incontrare.

Qui di seguito quel piccolo grande sfogo, che è stato poi punto di riflessione e di partenza per tutto questo!

 

-DI GREENPEACE E DEL MONDO CHE NON VA- (05/10/2013)

Ho appena fatto due esami. Uno dopo l’altro. E sono pure andati bene. Ho festeggiato, prati e giocoleria, birre, funghi di sagra vino e borghi antichi, arrampicata falesie e sole. Ok. E ora?

E ora finalmente mi fermo a pensare. I due giorni dopo gli esami un po’ ho fatto finta di niente. Quasi sperando così di esorcizzare il tutto. Ma non è così che funziona.

Mi fermo a pensare. Perché mentre studiavo per gli esami mi sono costretta a non farlo, anche se il pensiero inevitabilmente finiva sempre lì. Ma io mi stavo costruendo un futuro, in teoria, con quei due esami. Parte di un percorso che dovrebbe portarmi da qualche parte, in teoria. E allora mi sono concentrata. Via i pensieri e giù la testa a studiare. Un 30 e lode e un 30. Che bello. Si sono contenta, soddisfatta, sicuramente. Ma non riesco a godermela.

Penso a Cristian, e agli altri 29, tra attivisti di Greenpeace e due giornalisti freelance. Penso a quei 30, tra cui un caro amico. Penso che in questo momento sono dietro le sbarre in un carcere russo, accusati tutti e 30 di pirateria. PIRATERIA. Ma «la pirateria è un assalto con l’uso della forza al fine di appropriarsi di un bene altrui». Loro, probabilmente, avrebbero al massimo messo su qualche striscione, sulla piattaforma petrolifera della Gazprom, in Artico, e niente più. Certo non con l’uso della forza. Certo non per appropriarsi della piattaforma. Uno striscione per attirare l’attenzione mediatica, per dare un po’ di fastidio, per ricordare i danni ecologici che fanno le estrazioni petrolifere, e gli interessi e i giri economici assurdi che ci sono dietro. Niente di più. Per esprimere un’idea e comunicarla al mondo. Al massimo qualche striscione. E certamente erano disarmati quando gli hanno sparato addosso.

Dicono che Greenpeace non da fastidio a nessuno, ma penso proprio, dopo questa storia, che non sia vero. Se i russi hanno deciso due mesi di carcere per tutti e 30, compresi i giornalisti che erano lì a documentare e a fare il proprio lavoro, e se li hanno accusati di pirateria, cosa gravissima in Russia che si può tradurre in 15 anni di carcere (una vita), vuol dire che stavolta gli attivisti di Greenpeace hanno dato fastidio e pure parecchio, hanno pestato i piedi a qualcuno che i bastoni fra le ruote non li vuole, ma anche a qualcuno che purtroppo è GRANDE E POTENTE, e come tutti i potenti ha il coltello dalla parte del manico. E la Gazprom è potente. E i russi sono potenti. E come tutti i potenti possono commettere tutte le ingiustizie che vogliono.

Anche accusare (e spero non condannare) di pirateria degli attivisti pacifici che tutto sono tranne che pirati. Anche sparare su persone disarmate con i proiettili che gli finiscono a un metro di distanza, e poi dire che sono stati sparati solo 11 colpi di avvertimento in aria. Per me quello è tentato omicidio. Erano loro, al massimo, che dovevano finire in carcere.

E invece mi ritrovo qui a pensare a Cristian e a tutti gli altri. E penso che 15 anni sono lunghi, entri trentenne ed esci quasi cinquantenne, per un reato che non hai commesso, e non è giusto cazzo.

E IL GOVERNO ITALIANO DOV’E’? Dov’è quando un cittadino italiano viene ingiustamente catturato imprigionato e accusato di cose false? Il Governo Olandese ha preso posizione contro la Russia per sollevare il caso al Tribunale Internazionale della Legge del Mare previsto dalla Convenzione ONU (UNCLOS), se dovesse esserci il rifiuto da parte dei russi alla richiesta dell’immediato rilascio sia della nave di Greenpeace, l’Arctic Sunrise, che di tutto l’equipaggio. Ma in Olanda c’è la sede di Greenpeace, non potevano fare diversamente, credo. E l’Italia? E’ responsabile e si prende carico di ingiustizie solo quando le ingiustizie sono commesse su marò e militari all’estero? Là se n’è fatto un gran parlare. Anche in questo caso erano marinai, ma disarmati e pacifici, non militari ma attivisti in acque internazionali, e l’attivismo, fino a prova contraria e per fortuna, ancora non è un crimine. Se ne sta iniziando a parlare sui giornali, la Bonino ha detto qualcosa. Spero si sollevi un caso internazionale e che la cosa si risolva.

Cristian è italiano ed è stato RAPITO insieme a tutto il suo equipaggio in acque internazionali, sono stati minacciati con le armi, trascinati con la costrizione in territorio russo ed arrestati. Non è così che dovrebbe funzionare. Si tratta di diritto internazionale, diritti violati, e il Governo Italiano dovrebbe intervenire. Avrebbe dovuto intervenire immediatamente. Dov’è? Dov’è stato finora? Non dovrebbe fare lo stesso casino che ha fatto per i due marò? Spero si risvegli presto.

Penso poi che vivo in una città dove fai un incidente in macchina con i carabinieri, loro hanno torto, venivano contro senso e pure contro mano, ma tu gli sei andato contro, la loro macchina non si fa niente e la tua scoprirai poi che s’è fatta 700 euro di danni, ma loro sono carabinieri, allora possono intimidirti e abusare del loro potere, e fare in modo che non si sappia niente e che la cosa finisca là, perché tanto se li denunci loro hanno l’amico giudice pronto a testimoniare contro te e a loro favore, anche se in macchina con loro due non c’era nessuno, ma loro diranno che il giudice era con loro e che tu avevi torto, e in un modo o nell’altro la faranno franca. E allora devi solo stare zitto e pagarti da solo quei 700 euro di danni che t’hanno fatto loro.

Vivo in una nazione in cui un ragazzo entra in carcere per un po’ d’hashish e ne esce morto. E non viene fatta giustizia. Un altro torna da una serata, viene fermato dalla polizia, e muore. La versione ufficiale sarà che lui era un invasato violento e drogato che ha aggredito i poliziotti e la sua morte è stata causata dall’uso di droghe e di alcool, accuse che poi si riveleranno false. Il processo fa giustizia solo parzialmente. Vivo in una nazione in cui vengono picchiate e torturate brutalmente persone di tutte le età (colpevoli di niente e che la notte oggi hanno ancora gli incubi) in una scuola mentre stanno dormendo ufficialmente ospitati dopo un corteo contro i potenti del mondo, i “grandi” 8, e anche lì, negli scontri precedenti, c’era scappato il morto, e anche dopo l’assalto alla scuola i fermati verranno ulteriormente picchiati e torturati; anche in questo caso la “giustizia” fatta è solo parziale, e ancora non è finita.

Vivo in una nazione in cui si permette che BAMBINI DI 3 ANNI MUOIANO DI TUMORE non genetico ma indotto dall’ambiente insalubre e TOSSICO in cui viviamo in Campania, e magari si manganellano e arrestano le persone che manifestano contro questo scempio ambientale generatore di morte (vedi le proteste contro la discarica di Chiaiano, e le relative cariche della polizia ai manifestanti), e restano intatti e impuniti nelle loro poltrone vasche da bagno case supermacchineultimomodello gli autori di questo scempio, immuni da punizioni da sempre.

E vivo in un mondo in cui si permette che muoiano centinaia di immigrati, esseri umani, esseri viventi, con le loro vite e le loro storie, che fuggono da terre con guerre assurde, perché costretti da leggi ingiuste a viaggi illegali in barche barchette e barconi stipati come animali negli allevamenti intensivi, quando basterebbero leggi internazionali meno restrittive e frontiere più aperte, almeno per chi fugge dalla guerra. E chi le ha fatte queste leggi, dopo la chiama “disgrazia” e continua la sua vita piena di agi come se niente fosse, come se non fosse colpevole di quella disgrazia.

E vivo in un mondo in cui si permette che 30 persone, pacifisti, ambientalisti, attivisti, si, ma non criminali, non pirati, rischino 15 anni di carcere, mentre gli stronzi che gli hanno sparato contro sono ancora lì, solo perché sono poliziotti russi giustificati da un governo con leggi fanatiche e disumane. E i russi non scherzano, no che non scherzano. Basta vedere come trattano omosessuali e immigrati.

E io sono preoccupata, tanto, per un amico e per tutti gli altri, ma sono prima di tutto incazzata, tanto. Amareggiata. Rabbia profonda. Per come vanno le cose in questo mondo. E non smetterò mai di sentire l’amaro in bocca. E sono impotente.

Ma io, nel mio piccolo, da geologa, so che non collaborerò mai con l’industria del petrolio. Mai andrò a dire ai petrolieri dove e come estrarre altro petrolio. Motivo di inquinamento e disastri ambientali, di ingiustizie sociali disparità economiche e guerre. Mai. Allo stesso modo non collaborerò con la ricerca mineraria, sfruttatrice di territori e popoli a cui viene tolto tanto e dato niente. Né andrò a studiare i terreni per l’edilizia, per far fare magari seconde case che non servono realmente, se non a far arricchire i soliti cementificatori e palazzinari vari, mentre ci sono case abbandonate e vuote e gente in mezzo alla strada che un tetto non lo vedrà mai, anche se si costruiscono case in continuazione.

E mi chiedo se riuscirò a trovare la giusta mediazione tra il fare per il mondo e il fare per me. Che poi sono la stessa cosa. Fare per il mondo E’ fare per sé. Ma si rischia che per stare dietro al mondo, te ne ritrovi fuori dal mondo, ti trovi fuori dal gioco. Ti fanno fuori, perché “non hai niente da offrire al mercato”, e magari sei anche un po’ scomodo. E allora i conti non tornano tanto. Mi chiedo se per cambiare le cose si cambiano più da fuori o più da dentro. Ma io con certi meccanismi non voglio proprio averci a che fare.

E mi chiedo se, da geologa, troverò mai un posto nella società con cui io possa rimanere pulita. E geologa o non.. mi chiedo se troverò mai un posto in questa società. Mi chiedo se poi, tutto sommato, lo voglia davvero un posto in questa società, di cui condivido quasi niente. E mi chiedo se, cercando il mio posto, riuscirò mai a far qualcosa di concreto per questo mondo, in cui continuamente si capovolge il ruolo tra vittima e carnefice, le vittime diventano carnefici e vengono punite, e i carnefici diventano vittime e assolti continuano le loro vite mentre ne distruggono altre.

Person(d)e.

Le persone sono come le onde. Ci sono quelle che si sommano e quelle che si sottraggono. Quelle che si danno forza a vicenda, e quelle che si annullano. Poi ci sono quelle che non si danno niente, restano tali e quali, sempre uguali a sé stesse, e arrivano sempre allo stesso punto della battigia, solitarie e totalmente indipendenti l’una dall’altra seppur insieme, come se stessero sole. Non vanno più in là ma nemmeno perdono energia. Non si danno niente e non si tolgono niente. Se qualcosa guadagnano o perdono, è per loro forza o debolezza individuale, ma insieme non cambia niente.

E poi ci sono quelle che si danno e che si tolgono in continuazione, in un’eterna danza-lotta senza tregua, un pendolo che non si ferma mai, una bilancia che non trova equilibrio, un amore- odio che non trova punto d’incontro, e ti strema fino al punto di privarti di tutte le forze e lasciarti quasi senza energie, quando all’improvviso ecco che ti ridà tutto, e ti senti più forte di prima, ma poi tutto ti risottrae, e sei di nuovo spossato lì, al punto di partenza se non ancora più indietro. Come se la tua capienza energetica piano piano, comunque e inesorabilmente, diminuisse, ogni volta di più. Ma non te ne accorgi. Però poi all’improvviso ti rendi conto che non ce n’è più di energia da investire.
E’ una danza forte e vigorosa, una lotta estenuante. Danza o lotta dipende dai punti di vista. A qualcuno magari piace. Tempesta e ciel sereno insieme. Che non capisci. E sei lì che aspetti che diventi l’una o l’altro. Così puoi decidere come affrontarla, se affrontarla. Ma non cambia.
Cavalloni giganti che arrivano al cielo e calma piatta e poi vortici che ti risucchiano, onde sinuose ed eleganti e onde brutali e distruttive, onde danzanti e onde torbide e turbinanti.

Le onde che si sommano conservano comunque la loro singola energia, la loro forza individuale, la loro essenza. Arrivate all’estremità, al limite, conservano comunque le loro singole direzioni, diverse ma vicine, insieme fuse in un’unica direzione che le accomuna entrambe. Le direzioni si sommano: la mia direzione più la tua mirano verso lo stesso orizzonte, e insieme arrivano più lontano. Come i vettori. Due direzioni che si sommano, generando la direzione d’insieme.
E insieme si spingono l’un l’atra, si aiutano, arrivano più lontano.

Io voglio essere un’onda che si somma.

 

P1000322 - Copia

 

CON-FINE

<<con-fine, è un finire insieme, una doppia fine, la fine di due realtà, la fine di due libertà, la libertà di andare e la libertà di tornare, la libertà di fuggire o di andare ad aiutare a fuggire. La libertà di calpestare qualsiasi terreno di questo mondo perché ci appartiene, o meglio perché non appartiene a nessuno. La libertà di muoversi e spostarsi. La libertà di vedere i propri cari. Come Berlino est e Berlino ovest.>> (https://kesinliksonsuzluk.wordpress.com/2017/03/19/quello-che-resta-07032017_18032017/

Confine è anche dove non puoi fare foto, dove non puoi indicare dall’altro lato, dove non puoi sostare troppo e dove non puoi curiosare, dove devi avere mille occhi.

Dove ci sono più poliziotti che civili, molti in borghese, molti pronti a farti tranelli perché pensano di scoprire chissà cosa. 
Dove c’è il coprifuoco e i poliziotti ti dicono di non uscire nemmeno poco prima, preché altrimenti potrebbe esserci una “punizione”. Dove ti sparano a mezzanotte bombe-gas al peperoncino dentro casa, per tanti motivi e per nessuno. Forse solo perché aiuti bambini di un’etnia che loro stanno cercando di annientare da secoli.

Dove ci sono carri armati e macchine blindate della polizia in tutti gli angoli della città. 

Dove due bambini muoiono per l’esplosione di una bomba che era lì da un pò. Sono morti insieme. Una fine condivisa. Il con-fine.

E’ dove i poliziotti ti dicono di stare attento perché è al momento il posto più pericoloso della nazione in cui ti trovi. Ti dicono di non parlare di politica perché non puoi sapere le reazioni dei tuoi interlocutori. Ma in realtà tu stai parlando di tutto e con tutti e problemi non ne hai avuti. La gente del posto ti ama. Stai aiutando i loro bambini.

In realtà l’unico vero problema avuto nella tua permanenza lì, è stato prorio la polizia.
E tu lo sapevi quando sei partito. Ma poi sul posto hai verificato che è proprio così.

Confine è dove finisce l’arcobaleno, ma quel miraggio colorato lontano nel cielo è più raggiungibile della terra che potresti calpestare dieci metri più in là.

È dove l’acqua del fiume può scorrere ma tu non puoi correre. 
È dove ti ritrovi a scherzare su una zattera fatta di tartarughe per nascondertici dentro e guadare il fiume seguendo la corrente che porta in Siria. 

E’ dove i bambini e le famiglie la domenica fanno il pic-nic sotto il muro e il filo spinato.

E’ dove prendi un caffè e il panorama è quel muro di sempre col filo spinato di sempre. Di tutti i giorni, che quasi ti ci abitui, ma poi invece non ti ci abitui mai. Border-bar. Potrebbe funzionare come nome.

E’ dove vedi fumo uscire all’improvviso dai palazzi, in seguito a botti, e non ti chiedi perché più di tanto, perché in fondo lo sai. Quello che non sai è che di lì a poco capiterà a te.

È dove chi ci vive ti dice che bisognerebbe essere uccelli.

Confine è quando stai lì a pensare e ripensare se è il caso o no di pubblicare le foto che hai fatto e che non potevi fare, anche se non era scritto da nessuna parte che non potevi. Ma tutti lo sanno e ti potevano portare dentro e farti mille domande, per quelle quattro foto. E tu sai di essere schedata e controllata. E sai che se anche il tuo nome Facebook è falso, quello dei tuoi amici da loro controllati è vero. E sai che se vogliono non ci mettono niente ad entrare ne tuo computer, nel tuo cellulare, nella tua vita… 

Bologna fa rima con Montagna

Bologna fa rima con Montagna perché è lì che ho iniziato a scalare, ad andare per sentieri, in bici fuori città, a lasciarmi andare.
Lì ti conosci e lì ti affronti, e ti superi, ogni volta di più.
Bologna fa rima con Montagna perché una birra a Bologna è intima e speciale, fa rima con Montagna per i momenti che condividi a Bologna, per come entri in sintonia a Bologna con le persone con cui condividi il cammino. La sintonia che crei con i tuoi compagni di vita a Bologna non è come quella che si crea da altre parti, è forte intima e profonda. Soprattutto a vent’anni.  E’ la sintonia che crei con i tuoi compagni di cordata.
Bologna fa rima con Montagna perché ti innamori dei tuoi compagni di cordata.

Bologna fa rima con Montagna. Perché è una città che ti dà tanto, ma ti toglie anche tanto. Perché devi saperla prendere, sennò ti affossa. Bologna fa rima con Montagna perché è una musa complicata. Perché ti mette a dura prova, continuamente, e non puoi permetterti passi falsi. Fa rima con Montagna perché alla prima distrazione ti puoi ritrovare sottosopra. Fa rima con Montagna perché basta un piede messo male per perdere l’equilibrio.
Bologna fa rima con Montagna perché ti mette in continuazione faccia a faccia con te stesso, ti fa conoscere e ti fa perdere come se niente fosse, basta una folata di vento che ti porta via.
Bologna fa rima con Montagna perché è lì che ho iniziato ad arrampicare, ed è lì che mi sono persa e ritrovata. Bologna fa rima con Montagna perché ti fa crescere, come cresci in Montagna. Fa rima con Montagna perché ha mille sfaccettature e sfumature e altrettanti modi di affrontarla, ma poi l’unico vero modo è uno: di petto.

Fa rima con Montagna perché devi imparare a conoscerla, prima di potertici muovere con dimestichezza, senza cadere più, devi conoscerla se non vuoi che ti affossi, che ti annulli, che vinca lei. Fa rima con Montagna perché è una gran signora, bella e affascinante, ma piena di capricci. Fa rima con Montagna perché porta con sé sogni e desideri, storie di piccoli e grandi uomini, storie di persone comuni, ma storie intense, tutte. Fa rima con Montagna perché troppe volte ti fa chiedere “perché”, e troppe volte ti lascia senza risposta. 

Fa rima con Montagna perché è un rito di passaggio, non ti ci puoi fermare, sennò non l’afferri. Ci devi passare, devi viverla, devi prenderne e darle il meglio, e devi lasciarla, per poi tornarci, e tornarci ancora, ogni volta nuovo.
Fa rima con Montagna perché porta in sé tanta saggezza. Fa rima con Montagna perché è condivisione, è unione e sorrisi. Vino e cibo insieme. Fatica e appagamento. Fuoco e meritato riposo. Calma e tempeste. Tempesta e calma. Ma anche vuoto. E difficoltà e sofferenza. E soddisfazioni.
Bologna fa rima con Montagna perché ti dà e ti toglie, ma in fondo una volta che l’hai incontrata e conosciuta non puoi più farne a meno. Fa rima con Montagna perché ti entra dentro e nello stesso momento tu entri a farne parte e inevitabilmente ci lasci una parte di te.
Fa rima con Montagna perché è amicizia, musica, vento, amore, silenzio e solitudine tutt’insieme.
Perché ha ispirato e continua ad ispirare grandi e piccoli pensatori. Perché è arte e cultura. Perché è conoscenza di sé e dell’altro.
Bologna fa rima con Montagna perché non è lei che deve capirti, sei tu che devi capire lei, capire com’è fatta e come affrontarla, come comportarti con lei, da solo o insieme agli altri…

Bologna fa rima con Montagna perché è una musa complicata, la devi prendere per il verso giusto sennò ti respinge e ti affonda.
Fa rima con Montagna perché arrivi che sei uno e te ne vai diverso, più pieno e più vicino a te stesso e alle persone con cui hai condiviso il cammino, ma con un gran senso di vuoto che ti lascia un pieno così grande che ti entra dentro e da cui poi, però, a volte, ti devi allontanare. Perché sennò si prende tutto. E allora poi ti manca. 

Capita che ti ci abitui a quella mancanza. E quando però ci pensi, quell’abitudine pesa, pesa come un macigno, il grande macigno che vorresti scalare.

Fa rima con Montagna perché ti resta nel cuore e non se ne va più. Ti entra nel cervello e ci rimane. Ti pulsa nelle vene e ti occupa i pensieri, e non riesci mai a rispondere davvero al perché.

Fa rima con Montagna perché è così che io l’ho vissuta. Ed è così che vivo la Montagna. E la mia relazione con Bologna e con la Montagna è iniziata insieme, tanto tempo fa. E tanto mi hanno dato entrambe. E tanto mi devono ancora dare.

Bologna fa rima con Montagna perché qui si nasce e qui si muore. E qui si rinasce.